È, oggi più che mai, una domanda fondamentale. Tanto più, visto che ad ogni voto si erode la partecipazione degli elettori e montano pulsioni centrifughe e populiste, in Europa e negli Stati Uniti.
David Runciman, tra i più ascoltati studiosi di politica del mondo anglosassone, non pensa che la democrazia sia finita. Piuttosto, sostiene che stia soffrendo – questo sì – di una «crisi di mezza età».
Sì, la democrazia è spesso disordinata, lenta e inefficace. Sì, gli elettori a volte scelgono governanti impresentabili o oltremisura.
Sì, la democrazia in questo momento storico sembra particolarmente stanca e non gode di buona salute.
Eppure, nonostante tutto, c’è ancora qualcosa di speciale in questo sistema imperfetto.
Uno dei suoi grandi meriti è la capacità di autointerrogarsi sui propri limiti e di correggersi in corsa, come nessun’altra forma di governo.
La democrazia come la conosciamo non cadrà, ci dice Runciman, per un colpo di Stato, né a causa della rivoluzione digitale, o in seguito a una catastrofe climatica o nucleare; paradossalmente sembra che l’aspirazione delle comunità umane sia sempre progressiva e che con il tempo vada sempre, inevitabilmente, ad assestarsi verso un sistema che oggi è dato per scontato. L’ondata populista, il trumpismo, le tentazioni illiberali, la reductio ad absurdum della politica, le risse su Twitter non saranno la fine della democrazia.
Così finisce la democrazia è una lettura agile, informativa, a tratti cupa, ma indispensabile per comprendere a fondo i tempi incerti di cambiamento che viviamo.