Hans Tuzzi: il commissario Melis e io (per non parlare del cane)

di Redazione Il Libraio | 01.02.2022

A 20 anni dalla prima inchiesta, "Il maestro della Testa sfondata", con "Ma cos’è questo nulla?" Hans Tuzzi chiude la sua serie di gialli ambientati a Milano, che hanno come protagonista il commissario Melis. Per l'occasione si congeda dal suo personaggio più noto intervistandolo su ilLibraio.it...



“Bene, eccoci qua.”

“Già.”

Siamo a Milano, questo è certo: ma gli alberi sono molto più alti del normale, e i colori brillanti e trasparenti. Dove non so, ma so che è Milano. Siamo all’aperto, eppure silenzio e deserto – ci siamo solo noi – mi fanno sentire a casa. Non casa mia, ma casa.

“Bevi qualcosa, Tuzzi? Un whisky sour?”

“Grazie.”

Melis è come me lo sono sempre immaginato, asciutto ma non magro, di statura lievemente inferiore alla media. Maneggia con sicurezza – eccolo! – il grande shaker cinese d’argento anni Trenta, con il drago unghiuto e sinuoso che si snoda a sbalzo lungo la superficie.

“Quello che trent’anni fa a Genova non riuscisti ad acquistare per un contrattempo, giusto?” E, al mio sguardo stupito, aggiunge: “Anche noi personaggi sappiamo qualcosa sui nostri autori.”

Il cocktail è come ha da essere, buono.

“Io invece di te, Melis, qualcosa non so.”

“Davvero? Ho sempre pensato fossero reticenze volute. Del resto, come scrittore tu sostieni che la letteratura si fonda sulla reticenza.”

“Vero. Però, se di te sappiamo che sei di origini sarde, nato a Genova nel 1944 (e in una delle prime inchieste da me narrate si sa anche in quale stagione, se non proprio il mese), da solida famiglia borghese (nonno docente universitario di diritto, padre magistrato, madre insegnante, tuo fratello Guido magistrato in Calabria, tua sorella Germana medico in Africa), che sei vissuto a Firenze negli anni del liceo e dell’università…”

“Già, la culla del Rinascimento: provinciale, asfittica, convinta di essere al centro del mondo.”

“… laureandoti in legge nel febbraio 1968… se si sa questo, dicevo, e lo si apprende solo a pezzi e bocconi, più vago è il tuo curriculum nella Polizia: Ancona, un capoluogo del Veneto quindi Milano. È così?”

L’ombra di un sorriso:

“Sono nato nel 1944, assicuri, ma come personaggio nacqui nel 2002. Quanti anni ho? Settantotto o venti? E i personaggi invecchiano, dopo che è uscito il loro ultimo titolo? Bella domanda! Tornando a noi, vorresti sapere dove, nel Veneto? Ma se non hai sentito il bisogno di precisarlo allora, perché farlo oggi?”

“D’accordo. In compenso ti chiedo: per l’esperienza maturata in provincia e nella ‘capitale morale’, a tuo parere quand’è che l’Italia ha cominciato a incarognirsi?”

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Inizia a caricare la pipa, pensandoci su. Poi:

“In anni diversi, a seconda delle diverse realtà locali, ma – sempre e comunque – allorché alla convinzione che la libertà individuale finisce dove comincia quella degli altri, è subentrata l’idea che chiamo la libertà dei fatti propri.”

“Cioè?”

“Mi spiego con un esempio banale: a Milano, non con la rapina di via Osoppo, ma quando in tanti han cominciato a parcheggiare sui passi carrai o sulle strisce pedonali senza farsi problemi. Ogni degrado, morale o sociale, procede sempre per piccoli passi. Poi, si frana per inerzia. E si ritiene normale candidare pregiudicati a cariche istituzionali.”

“E in provincia?”

Le provincie sono tante e diverse l’una dall’altra. Per questo lì il degrado si è diffuso a macchia di leopardo, con realtà vivaci e curiose e altre sradicate e senz’anima. Per queste ultime, dalla crescita economica disordinata, troverei un denominatore comune nel deserto culturale: la scomparsa delle librerie e dei cinema nei paesi, la morte dei teatri, il degrado degli sport di squadra, tutto ciò vede  corrompere i momenti sociali, la cui parodia è confinata nei bar o in quei non-luoghi che sono le megadiscoteche o i centri commerciali.”

Sobbalzo: “È vero! Sino ai primi anni Ottanta la strada da Arona a Borgomanero era un suggestivo incanto, e ora…”

L’hai detto: gli Ottanta. Lì si è buttata via l’acqua sporca degli anni di piombo insieme al bambino degli ideali e ci siamo ritrovati con nani e ballerine, e già chiamarle così è offensivo per le ballerine. E con i più bassi numeri di lettori e di laureati d’Europa. Condivido la tua scelta di tempo: mi fai entrare in scena poche settimane prima del sequestro Moro e uscire con la caduta del primo governo Berlusconi: l’arco di anni… come hai detto quella volta in radio?”

Gli anni in cui si svilisce la grammatica di una civiltà.”

“Vedi che lo sapevi anche tu? Ma questo con il senno di poi. Allora, travolti dalla indecifrabilità del presente, intuivamo che qualcosa si stava incrinando, che stavamo cambiando, ma è la prospettiva storica che sola permette di capire. Quando, in genere, è ormai troppo tardi.”

Vorrei ricordargli che proprio nel corso del 1978 conosce Fiorenza, poco più giovane, triestina, caporedattrice in una piccola casa editrice, divorziata, ottima cuoca, che lo accompagnerà lungo i successivi titoli, ma il pudore e il senso di colpa mi trattengono quando, ah, un abbaiare petulante rompe il silenzio, e un meticcio con ascendenti terrier viene ad annusarmi.

Melis coglie il mio stupore e sorride ironico.

“Sì, lo so: hai fatto morire Kim tra Polvere d’agosto e Nella luce di un’alba più fredda ma dovresti sapere che noi personaggi non moriamo mai. Certo, può darsi che talvolta per decenni o per secoli nessuno ci disturbi, ma poi, vedi il caso, fra le carte di un antico codice rivive Trimalcione, o da un tumulo millenario esce l’insaziabile Djedi, capace di riattaccare al corpo una testa mozzata… Un tedesco invece l’ha immaginata come un Inferno, la Fama, per voi autori: ogni saggio scritto su di te impedisce l’eterno riposo nell’Anima Mundi.”

Bene, penso: allora dormirò tranquillo il mio Grande Sonno.

“Questo invece” prosegue lui “non vale per noi personaggi, sai? Per noi è come per i classici, che non avvennero mai ma sono sempre, dice Sallustio. Qui, ogni tanto, passeggia un gatto che mangia mandarini con la buccia, un gatto che persino Kim ci gira al largo!”

“Alexandre Dumas pianse come un vitello scrivendo la morte di Porthos.”

“Rendendolo immortale. Tu ci provasti – piangendo – con Lambiase, ma Giosuè semplicemente si rifiutò di morire. Confermando che noi personaggi abbiamo una nostra autonomia rispetto a voi autori.”

Sorride fra sé, alza una spalla, emette uno sbuffo di fumo. Kim gli si accuccia ai piedi.

“Genova tu, Trieste Fiorenza: e il mare?”

Il suo sguardo si perde lontano:

“Il mare… tutto ciò che viene dal mare è bellissimo… Venere, le isole dei Beati… la vita viene dal mare, e la vita è bellissima, terribile e bellissima.”

Tace a lungo.

“E il silenzio?”

Il silenzio… è grande, più grande dell’uomo. Placa il dolore, lusinga la notte, stempera la memoria delle sofferenze passate, rischiara la foschia del futuro che ci attende, confuso e minaccioso come il suono dei corni e il latrare della muta per il cervo braccato.” Pigia il tabacco nella pipa: “Il silenzio è grande.”

“Tu ami i classici ma sei un lettore di saggi, vero?”

“Già. Però amo i poeti capaci di cogliere, al contempo, il tramonto di un’epoca e il nascere di un’epica grazie al potere magico delle parole, capaci di tramutare nascondere e svelare, distruggere creare o riportare in vita. E le fiabe, nipotine dei miti, aurora della parola. La parola è il vertice dello sviluppo organico. Non è forse il Verbo che trae il mondo dal Caos? Il Caos non è un vorticoso disordine, è il nulla platonico, l’incubo vuoto della buia eternità immutabile. È la parola a trarne la vita i colori e la musica del mondo. No, non amo i romanzi realisti, men che meno i gialli. I gialli! Se poi penso che chi li scrive può avere, come te, un intuito affilato come una palla…!”

“Villon, questa è una citazione da François Villon.”

“Sai, forse è la tua invadenza a guastarmi.”

“Eppure nella tua ultima inchiesta leggi Sciascia.”

Tu mi fai leggere Sciascia! Che è, comunque, siciliano, e perciò di un realismo molto metafisico. Tu, se è per questo, nell’ultima inchiesta, mi fai anche … No, niente anticipazioni!”

Già. So bene qual è il verbo taciuto.

“Ma i personaggi sono immortali, l’hai detto tu. Io, invece…”

“Tu invece sei presuntuoso e straparli. Chiudiamola qui. Come si dice in questi casi? È stato un piacere?”

“Per me sì, e così spero per… Ma… dove sei? Dov’è? Se ne è andato!?!”

L’AUTOREL’AUTORE – Hans Tuzzi è autore – oltre che di saggi sulla storia del libro e sul suo mercato antiquario, e del romanzo Vanagloria (2012) – dei celebri gialli ambientati a Milano che hanno come protagonista il commissario Melis: Il maestro della Testa sfondata (2002 e 2016), Perché Yellow non correrà (2005 e 2016), Il principe dei gigli (2005 e 2012), Casta Diva (2005 e 2013), Fuorché l’onore (2005 e 2017), La morte segue i magi (2009 e 2017), L’ora incerta fra il cane e il lupo (2010 e 2017), Un posto sbagliato per morire (2011), Un enigma del passato (2013 e 2017), La figlia più bella (2015), La belva nel labirinto (2017), La vita uccide in prosa (2018) e Polvere d’agosto (2019). È autore anche della trilogia dedicata all’agente segreto Neron Vukcic: Il Trio dell’arciduca (2014), Il sesto Faraone (2016) e Al vento dell’Oceano (2017). Tutti i suoi libri sono pubblicati da Bollati Boringhieri, che dopo aver proposto un anno fa Nessuno rivede Itaca, porta in libreria Ma cos’è questo nulla?, l’ultimo romanzo della serie con Melis, a 20 anni dalla prima inchiesta: Il Maestro della Testa sfondata.

presentazione tuzzi

Fonte: www.illibraio.it