Citazione tratta dal libro “Panico nello shtetl” di

di Redazione Il Libraio | 17.09.2021

«La città della gente semplice in cui ti conduco, amico lettore, si trova proprio al centro di quella tanto sbandierata “zona di residenza” in cui gli ebrei sono stati pigiati come sardine in una scatola, con l’invito a crescere e a moltiplicarsi. – Da dove proviene, esattamente, il nome Kasrilekve? Beh, ecco come stanno le […]


«La città della gente semplice in cui ti conduco, amico lettore, si trova proprio al centro di quella tanto sbandierata “zona di residenza” in cui gli ebrei sono stati pigiati come sardine in una scatola, con l’invito a crescere e a moltiplicarsi. – Da dove proviene, esattamente, il nome Kasrilekve? Beh, ecco come stanno le cose. – Come tutti sanno, da noi per indicare un pover’uomo c’è una sovrabbondanza di nomi: c’è l’uomo di modeste condizioni, il povero, il povero da far pietà (il nebbich), il nullatenente, il bisognoso, il povero in canna, lo spiantato, il morto di fame, il terribilmente squattrinato e il più povero dei poveri. Ognuno di questi nomi ha il suo timbro inconfondibile. E poi c’è ancora un altro nome: Kasriel oppure Kasrilik. Esso viene pronunciato con un tono del tutto particolare, come ad esempio: “Eh, sì – non guardatemi male! – sono un Kasrilik!” Il Kasrilik non è un semplice mendicante, non è uno shlemihl, è – badate bene! – un povero diavolo a tal punto che, grazie a Dio, non ha più da temere che la povertà nuoccia alla sua reputazione. Essa, invece, viene messa in mostra addirittura con fierezza e dignità! Si dice infatti. “Povero, ma gioioso…”» (Sholem Aleichem)