Storia del mio primo amore (e di mia moglie)

di | 10.02.2023

In un racconto autoironico, Marco Drago, in libreria con "Innamorato", parla della genesi del suo nuovo romanzo, che al centro ha l'ossessione per il suo primo amore. Lo scrittore si sofferma sul complicato rapporto tra questa prima donna, che vive nei suoi ricordi, e sua moglie, parte della sua vita attuale: "Una cosa è un caro ricordo, una cosa è quel po’ di lecita nostalgia per un momento magico della propria vita passata, un’altra è la vita che ci siamo scelti e per la quale ci impegniamo ogni giorno". E svela: "Mia moglie ha mantenuto una posizione indecifrabile, almeno sulle prime. Mi ha incitato a continuare e a portare a termine il lavoro che avevo cominciato però… però… vedevo che dietro gli occhi le ardeva una fiammella difficile da interpretare..."


Ciao, mi chiamo Marco Dionigi Ilario (non ridete, i secondi nomi sono spesso assurdi, io di nomi ne ho addirittura tre), sono una specie di scrittore, ho cinquantacinque anni, sono sposato da dieci e ho appena pubblicato un libro, Innamorato, in cui parlo dell’ossessione per la mia prima ragazza, che ovviamente non è mia moglie. Ho una bella notizia: nonostante il libro sono ancora sposato. Le brutte notizie potrebbero arrivare quando qualcuno leggerà il libro e mi verrà a cercare per chiedermi spiegazioni.

Ma andiamo con ordine: ho cinquantacinque anni (ancora per poco), quindi sono un uomo nel pieno della mezza età, sull’orlo di quella fase della vita che da maturità si trasforma in vecchiezza. Un uomo della mia età ha un sacco di problemi da tenere a bada. Innanzitutto la salute, poi la rapida dissoluzione del proprio appeal professionale, l’altrettanto rapido mutare del mondo circostante e la sua relativa e graduale incomprensibilità.

Difficile immaginare che un uomo come me, ogni santo giorno che Dio manda sulla Terra, abbia tempo e voglia di dedicare un pensiero affettuoso alla prima fidanzatina dei vent’anni. Eppure è così. A un certo punto me ne sono reso conto, per una vita intera non ci avevo mai pensato, poi, all’improvviso l’illuminazione: non è che la mia è un’ossessione bella e buona?

Succede spesso di essere immersi nelle cose e di non accorgersene, a volte te lo dicono gli altri, a volte lo scopri da solo, io l’ho scoperto da solo, erano anni che di questa ragazza non parlavo più con nessuno, anche se erano anni che le dedicavo pensierini dolci, una strana forma d’affetto a distanza e unilaterale. C’erano stati tempi, invece, in cui parlavo di lei, di lei che se n’era andata, a chiunque mi passasse a tiro, è durata un bel po’ ma poi è passata. “Sono guarito” mi dicevo, e forse sì, era finita la fase acuta ed era subentrata la fase endemica.

Insomma, lo capisco da solo che non è affatto normale mantenere in vita un fantasma, fargli visita, ricavarne una particolare forma di rassicurazione. A mia moglie non ne avevo mai parlato, perché avrei dovuto?

Il fantasma in questione non lo vedo e non lo sento praticamente da trentacinque anni (e non ho in programma di vederlo o sentirlo per altri trentacinque), posso tranquillamente tenermi tutto dentro e sorvolare. Ho una moglie da dieci anni e l’ho sposata dopo sei di frequentazione, le cose si sono assestate bene, direi. D’accordo, c’è questo piccolo dettaglio che non mi è ancora del tutto passata la delusione per la fine della mia storia con quella là, ma sono cose che possono succedere, tutti abbiamo una persona che non va né su né giù, che resta lì e si fa sentire ogni tanto, anche mia moglie ce l’avrà, che mai sarà. Così mi dicevo.

Ho cominciato a scrivere Innamorato mentre eravamo tutti al mare in Liguria. Era una bella nottata di giugno, dormivano tutti e io non avevo sonno. Mi sono messo al computer senza sapere cosa avrei scritto. Non mi succede spesso, se proprio non ho idee preferisco fare altro, ma quella sera, chissà come, ho commesso l’imperdonabile errore di cominciare a scrivere partendo dal primo pensiero che mi veniva in mente, e il primo pensiero che mi è venuto in mente è stato il pensiero di questa ragazza conosciuta in prima liceo, corteggiata senza troppa speranza per quattro lunghi anni e finalmente conquistata in quinta. Una bella storiella d’amore adolescenziale, stiamo parlando di fatti avvenuti tra il 1982 e il 1988, un secolo fa.

Ora mi chiedo: ma perché non un bel romanzone di fantascienza distopica, un ponderoso romanzo storico ambientato tra gli Aztechi, un sempre gradito noir metafisico o una originalissima saga familiare collocata nella Sicilia dell’Ottocento in cui le donne hanno poteri soprannaturali? Perché ho proprio scelto di scrivere un’autofiction in cui per 188 pagine mi prostro quasi in lacrime davanti a un altarino eretto in ricordo della prima morosa del liceo? Perché? La risposta è: «Non lo so». Anzi la risposta, comincio a sospettare, è: «Sono un cretino».

No, non è vero, la risposta è che quella era l’unica storia che mi interessava raccontare e dunque l’ho raccontata, romanzandola adeguatamente.

Restava il piccolissimo ostacolo di avvertire mia moglie. La parte di me che tende alla codardia mi dava consigli catastrofici tipo non dirle niente fino alla fine, fino a quando l’agente avesse trovato un editore e metterla quindi davanti al famoso fatto compiuto o addirittura smettere di scrivere e cancellare il file per sempre. Mi sono baloccato un po’ con l’idea di dimenticarmi tutto, buttare via il progetto così come avevo buttato via mezza dozzina di idee di romanzo che mi si erano presentate negli anni che mi separavano dalla pubblicazione dell’ultimo libro (il 2013). Era la soluzione più tipica di me. Quando non sono sicuro del successo di un’operazione tendo a non provarci nemmeno, il rischio non è il mio mestiere. Un’altra parte di me, quella più razionale, mi suggeriva di non aver paura: «Tua moglie ti conosce bene, capirà perfettamente, meglio che sappia tutto subito, come potrai dirglielo a cose fatte?».

Ripensandoci adesso mi sono fatto un sacco di menate inutili: stavo scrivendo un romanzo. È facile dimenticarsene, ma un romanzo non è un atto notarile, non sono parole scritte sulla pietra, è una costruzione letteraria, un’invenzione che può possedere più o meno gradi di verità al proprio interno, ma pur sempre un’invenzione. Nel mio caso, poi, si trattava di un romanzo interamente fatto di ricordi, un romanzo costruito sulla memoria e la memoria è la meno affidabile delle fonti, a volte si pensa di ricordare perfettamente alcuni fatti e invece si ricorda una versione aggiustata di quei fatti, una versione editata dal cervello mentre la verità resta inafferrabile e muore nel momento in cui nasce, tantopiù se si parla di trentacinque-quarant’anni prima.

Un conto, però, è la teoria del romanzo e un altro è la propria moglie che – senza quasi mai averne sentito parlare – scopre un’intrusa nella vita interiore del marito. Sì, perché l’intrusa in questione non è mai stata oggetto di conversazione tra me e lei, i decenni l’avevano sepolta e il fatto che mi fossi trasferito a vivere dalla provincia di Asti a Milano aveva anche tagliato tutti i contatti con coloro che potevano ricordarsi del tempo lontano in cui io e questa ragazza eravamo stati una coppia.

Alla fine ho deciso di farle leggere quanto avevo scritto fino a quel momento senza spiegarle niente, una e-mail con un allegato. Era ottobre, di pagine ce n’erano già un bel po’ ed erano più che sufficienti a farle capire di che cosa si trattava. Avevo dato ascolto alla parte più razionale di me, o forse a quella più avventurosa, chi lo sa, l’importante è che mi fossi risolto a non abbandonarmi al fatalismo del vediamo poi. Al peggio avrei dovuto sopportare una scenata di gelosia, ne avevo subite altre, la materia non mi era ignota e sapevo bene che affrontare una scenata di gelosia avendo la coscienza pulita è molto meglio che affrontarla mentre ci si arrampica sui vetri.

Ricevuto il messaggio, mia moglie ha mantenuto una posizione indecifrabile, almeno sulle prime. Ha subito messo in chiaro che le sembrava che il testo fosse valido, le piaceva lo stile, mi ha incitato a continuare e a portare a termine il lavoro che avevo cominciato però… però… però vedevo che dietro gli occhi le ardeva una fiammella difficile da interpretare.

Non ho insistito per sapere che cosa fosse, quella fiammella, e non ho affrontato la questione nemmeno adesso che il libro è uscito. Non si hanno cinquantacinque anni per niente, con l’età e l’esperienza certe cose si impara a lasciarle perdere e a non affrontarle se non proprio costretto. Non ci vuole grande intuito per immaginare che lei abbia pensato, e che pensi ancora: «Ma quindi è ancora innamorato di quella? Se quella, da un momento all’altro, si rifacesse viva, lui che cosa farebbe?»

Da parte mia non ho mai pensato neppure per un secondo di essere ancora innamorato di quella e ritengo altamente improbabile che quella si rifaccia viva, ma anche se lo facesse sono sicuro che non mi verrebbe la tentazione di buttare all’aria una vita per tornare con la fidanzata del liceo. Una cosa è la letteratura, una cosa è un caro ricordo, una cosa è quel po’ di lecita nostalgia per un momento magico della propria vita passata, un’altra è la vita che ci siamo scelti e per la quale ci impegniamo ogni giorno.

Sennonché, quando nel nostro giro di conoscenze si è sparsa la voce che usciva un mio libro e che nel libro parlavo del mio primo amore è stato tutto un susseguirsi di amici e amiche che mi prendevano da parte e mi chiedevano come l’avesse presa mia moglie. Accidenti.

Un po’ mi sono preoccupato, soprattutto quando un’amica mi ha confessato che se suo marito le avesse fatto «una cosa così» non gliel’avrebbe fatta passare liscia. Avevo dunque commesso un imperdonabile sgarbo nei confronti di mia moglie? Paradossalmente la reazione degli altri e delle altre è stata molto meno accondiscendente di quella di mia moglie. Senza contare quelli e quelle che, forse senza volerlo ma chissà, mi gustavano l’umore predicendo foschi scenari di vendette da parte della ragazza di cui parla il libro o del marito di quest’ultima. Ero uscito indenne dalla possibile gelosia di mia moglie, mi toccava affrontare il giudizio tutto sommato negativo degli amici e delle amiche.

Ne ho parlato con mia moglie e lei mi ha assolto con formula piena derubricando tutto a «gli inevitabili casini dell’autofiction» e dunque me la faccio andare bene così.

Ho scritto quello che ho scritto, forse potevo farne a meno, forse no, sono fatti miei, il libro è uscito, chiunque può leggerlo e parlarne bene o male, vada come vada, mi farò forza come sempre e affronterò con stoica determinazione gli inevitabili casini dell’autofiction e che Dio (o chi per lui) me la mandi buona. Anzi, ottima.

Innamorato Marco Drago

IL LIBRO E L’AUTORE – Marco Drago è scrittore, traduttore e conduttore radiofonico. Ha fondato e diretto per quasi vent’anni la rivista letteraria Maltese narrazioni, ed è autore di raccolte di racconti e di romanzi, tra cui Cronache da chissà dove (Minimum Fax) e La prigione grande quanto un paese (Barbera). Da oltre vent’anni lavora per la radio (Rai, Radio24 e Radio della Svizzera Italiana) e fa parte della factory artistica Istituto Barlumen.

Il suo nuovo romanzo, Innamorato, in libreria per Bollati Boringhieri, è la messa a nudo della passione e dei sentimenti maschili: racconta infatti dell’ossessione di un uomo di 55 anni per il suo primo amore, nato sui banchi di scuola. Di quell’amore crede di ricordare tutto, e a quell’amore pensa almeno una volta al giorno, da così tanto tempo che quasi non se ne rende più conto. E allora prova a scriverne, allenando il muscolo della memoria, ricavando dal pozzo profondo dei ricordi piccoli sorsi di un’epoca consegnata alla storia, piccoli sorsi di vita forse vissuta e forse immaginata… il risultato è un affresco asciutto e ironico sull’essere adolescenti nella profonda provincia italiana degli anni Ottanta, accompagnato dalla musica, la moda e gli stili di vita di un decennio indimenticabile per chi l’ha vissuto.

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Fonte: www.illibraio.it