Editoria: cosa significa continuare, nell’Italia di oggi, la tradizione di Paolo Boringhieri

di Michele Luzzatto | 02.07.2021

“Non esiste più la [nome di casa editrice] di una volta!”. Questa frase – facile da dire, meno da argomentare – risuona come un incubo per molti marchi storici... - A cento anni dalla nascita di Paolo Boringhieri, su ilLibraio.it la riflessione di Michele Luzzatto, attuale Direttore editoriale di Bollati Boringhieri, che si chiede "cosa significa davvero continuare una tradizione" e "in che senso una casa editrice segue le orme del suo fondatore"


Cosa significa davvero continuare una tradizione? In che senso una casa editrice segue le orme del suo fondatore? Ricorre in questi giorni il centenario della nascita di Paolo Boringhieri, un nome di quelli che contano nel who’s who dell’editoria italiana. Molte generazioni di italiani si sono formate e sono cresciute sui libri che lui portò in libreria e il bel logo del celum stellatum è un sigillo di garanzia per tanti lettori. Ma sappiamo anche che il contesto sociale, politico e culturale nel quale si muoveva Boringhieri era radicalmente diverso da quello attuale, per non dire del contesto editoriale.

“Non esiste più la [nome di casa editrice] di una volta!” Questa frase – facile da dire, meno da argomentare – risuona come un incubo per molti marchi storici. Vale anche per Bollati Boringhieri, che peraltro ha persino cambiato nome, aggiungendo a quello del primo fondatore quello del secondo, che a sua volta era un nome pesante nel contesto culturale nazionale. Dunque “non esiste più la Bollati Boringhieri di una volta”? Certo che no, come potrebbe? Non esiste più il mondo di una volta e non esistono più neppure i lettori di una volta. Tutto è cambiato dagli anni cinquanta, quando Paolo Boringhieri iniziò l’avventura che noi oggi continuiamo.

paolo boringhieri
22 gennaio 1982. Paolo Boringhieri riceve il “Libro d’oro” dalle mani del Presidente Sandro Pertini in Quirinale.

Vi era, all’epoca, un’Italia che usciva dalla guerra e da vent’anni di fascismo, la cui cultura – per i pochi, rispetto a oggi, che potevano permettersi una cultura – era saldamente ancorata al modello idealista di Croce e Gentile.

La formazione della classe dirigente passava esclusivamente attraverso il liceo classico, il cui programma di matematica non arrivava all’analisi (sviluppata nel Seicento!), tanto che si è dovuto attendere addirittura il 1969 perché agli studenti del liceo scientifico fosse consentito di accedere a tutte le facoltà universitarie, e dunque prendere davvero parte attiva allo sviluppo del Paese. In un contesto simile le tematiche scientifiche profonde erano quindi largamente ignorate nel dibattito culturale nazionale e considerate tecnicismi per gli addetti ai lavori, estranee al senso vero della parola “cultura”: erano considerate al più “utili” e necessarie, ma non certo “elevate”.

In quella temperie culturale arrivò Boringhieri, inanellando una serie impressionante di pubblicazioni e portando in libreria praticamente l’intero pantheon della scienza novecentesca in ottima traduzione italiana. Si trattava di libri capitali, che schiudevano un mondo su temi scientifico-filosofici poco metabolizzati in Italia.

Boringhieri diventò così il nome di riferimento tra quanti pensavano non tanto che la cultura scientifica dovesse rimpiazzare quella umanistica, ma al contrario, che una cultura moderna non potesse che essere integrata, e che la divisione stessa tra cultura scientifica e umanistica fosse obsoleta e votata al fallimento.

La pubblicazione dei libri di Einstein, Bohr, Darwin o Turing, non era allora orientata solo agli scienziati, ma era parte di un progetto più ampio che aveva l’ambizione di interessare tutti, un vero progetto di politica culturale. In questo stava l’assoluta modernità di Boringhieri, che infatti non mancava di pubblicare anche autori classici delle scienze umane, per non dire della psicologia, la disciplina-ponte per eccellenza tra umanesimo e scienza.

In questo la Bollati Boringhieri di oggi non è cambiata affatto e non vuole cambiare. L’apparente ossimoro di “umanesimo scientifico”, coniato proprio da Paolo Boringhieri quando ancora dirigeva le Edizioni Scientifiche Einaudi, è il contesto nel quale l’attuale casa editrice continua a operare.

La situazione è mutata – basti pensare alle nuove tecnologie e ai nuovi media –, ma in un certo senso l’Italia tarda ancora a liberarsi dai pregiudizi antiscientifici di matrice idealista. Persone di valore continuano anche oggi a vantare la bella “inutilità” delle discipline umanistiche contrapposta all’“utilitarismo” della scienza, sottintendendo con questo che le materie scientifiche servono tutt’al più a “fare”, ma non a pensare. C’è ancora molta strada da compiere per convincere il mondo della cultura che questa impostazione va finalmente superata e che una società delle lettere priva di una solida formazione scientifica avrà sempre le armi spuntate nei confronti delle sfide intellettuali del mondo contemporaneo.

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Come allora, anche oggi la casa editrice non vuole rivolgersi solo ai cultori delle scienze, ma propone un ampio panorama di temi e prospettive nel quale semmai il pensiero scientifico risulta uno dei punti fondanti, in dialogo con tutto il resto. Un autore come Jim Al-Khalili, ad esempio, è capace di far apprezzare con La fisica del diavolo le sottigliezze della fisica quantistica, ma sa anche raccontare, in La casa della saggezza, l’apporto cruciale del mondo arabo allo sviluppo della scienza europea e può persino scrivere un thriller mozzafiato di successo. Ma non è il solo: negli ultimi anni Bollati Boringhieri ha proposto un’ampia gamma di autori in grado di giocare su più tavoli, che saltano il fossato delle “due culture” con una naturalezza tale da convincerci del fatto che quel fossato, tutto sommato, non esista.

Basti pensare a Jonathan Gottschall, docente di letteratura che gioca con l’evoluzionismo nel suo L’istinto di narrare, o a Mark Miodownik, che si muove tra arte, chimica e ingegneria nel suo La sostanza delle cose. Oppure Donald Hoffman, che in L’illusione della realtà si addentra in un meandro di psicologia, fisica e filosofia, o Adam Rutherford che in Cosa rispondere a un razzista esamina la storia coloniale usando le nostre conoscenze di genetica per demolire luoghi comuni durissimi da estirpare. E non si può non ricordare Nick Bostrom e il suo Superintelligenza, a metà tra ingegneria informatica e filosofia o il recente libro di Naomi Oreskes, che in Perché fidarsi della scienza? va alla radice stessa del problema che dà il titolo al libro – e nel mezzo di una sofferta campagna vaccinale senza precedenti –, con un senso critico e un acume rari.

Questi, e moltissimi altri, sono autori in grado di ampliare la nostra visione del mondo in un senso che va molto oltre quello di “divulgazione scientifica“. L’idea stessa di “divulgare” la scienza, infatti, porta con sé un che di paternalistico: più utile, e più interessante, è discutere del mondo mettendone in risalto tutta la complessità, che assieme al resto include anche la scienza, il suo pensiero e la sua vivacità intellettuale.

L’AUTORE – Michele Luzzatto è il Direttore editoriale di Bollati Boringhieri

Fonte: www.illibraio.it