di | 11.03.2016

Al centro di questi romanzi c’è sempre un punto cieco, un punto attraverso il quale non è possibile vedere nulla. Ora – e di qui il loro paradosso costitutivo – è proprio attraverso quel punto cieco che, in pratica, questi romanzi vedono; è proprio attraverso quell’oscurità che questi romanzi illuminano; è proprio attraverso quel silenzio […]


Al centro di questi romanzi c’è sempre un punto cieco, un punto attraverso il quale non è possibile vedere nulla. Ora – e di qui il loro paradosso costitutivo – è proprio attraverso quel punto cieco che, in pratica, questi romanzi vedono; è proprio attraverso quell’oscurità che questi romanzi illuminano; è proprio attraverso quel silenzio che questi romanzi diventano eloquenti.
Potremmo dirlo in un’altra maniera. In certo qual modo il meccanismo che sta alla base dei romanzi del punto cieco è molto simile, se non identico: al loro inizio, o nel loro nucleo, c’è sempre una domanda, e tutto il romanzo consiste nella ricerca di una risposta a quella domanda centrale; al termine della ricerca, però, la risposta è che non c’è risposta, cioè, la risposta è la ricerca stessa di una risposta, la domanda stessa, il libro stesso. In altre parole: alla fine non c’è una risposta chiara, univoca, tassativa; soltanto una risposta ambigua, equivoca, contraddittoria, essenzialmente ironica, che non sembra nemmeno una risposta e che solo il lettre può dare.