“Il mio omicidio”, un thriller distopico sulle aspettative della società verso le “buone madri”

di Francesca Coraglia | 11.06.2023

Lou è una giovane donna, felicemente sposata, madre della piccola Nova. Ma Lou è anche un clone della precedente Lou, uccisa pochi mesi prima da un serial killer, arrestato per l’omicidio di altre quattro donne, e riportata in vita, insieme alle altre vittime, da un programma governativo di clonazione... "Il mio omicidio", atteso mystery di Katie Williams, indaga una tematica delicata, ovvero ciò che la società si aspetta dalle donne quando esalta il loro ruolo riproduttivo e disciplina il loro corpo...


Molte volte si legge o si sente dire: “Quando nasce un bambino, non nasce solo un bambino, nasce anche una madre”.

Il nuovo mystery di Katie Williams, Il mio omicidio, indaga una tematica delicata, ovvero ciò che la società si aspetta dalle donne quando esalta il loro ruolo riproduttivo e disciplina il loro corpo.

Lou ha un lavoro e una famiglia, un marito, Silas, che l’adora e si prodiga per il suo benessere. E una figlia, Nova, di pochi mesi, che nella narrazione comune della “buona madre” dovrebbe assorbire tutte le sue energie, e la sua felicità.

Eppure. Lou non è Lou.

La vecchia Lou è stata ritrovata sul ciglio di una strada, all’imbocco di un sentiero boschivo, con la gola squarciata. È stata uccisa da un serial killer, Edward Early. E prima di lei, con le stesse modalità, altre quattro donne. Tutte ritrovate in luoghi pubblici con la gola squarciata e le scarpe allineate al cadavere, come in procinto di essere indossate per fuggire.

La nuova Lou, quella che è ritornata alla sua vita di prima, di moglie, di madre, di lavoratrice, è stata replicata da una coltivazione di cellule della vecchia Lou. La commissione di replicazione ha deciso di riportare indietro tutte e cinque le vittime di Early, a seguito di un movimento di protesta su scala nazionale.

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Ma c’è qualcosa, una sensazione forse, che mina la serenità della protagonista.

Intanto una nuova sintonia con il proprio corpo, un corpo che adesso abita con la consapevolezza non di ciò che può fare, o di ciò che può contenere, ma finalmente in modo autopercettivo.

«Ero nel mio corpo. Ero il mio corpo. Ero viva».

Poi tracce che la vecchia Lou aveva disseminato, un vecchio borsone con il quale aveva pianificato di allontanarsi da casa, per fuggire via da una vita che sentiva non appartenerle più. E poi una sintonia con la piccola Nova che Lou non riesce a stabilire, questo sì, forse, unico ricordo della madre che era.

È stata riportata indietro, finalmente ha una nuova possibilità di costruire la persona che ha sempre sognato di essere, è nata due volte. Fino al giorno in cui una confessione sconvolgente, raccolta dalle labbra dell’ultima persona con cui pensava di poter parlare, la spinge a indagare per cercare di scoprire cosa lascia davvero una persona quando decide di non guardarsi indietro.

In contemporanea mondiale, l’atteso Il mio omicidio esce in Italia il 13 giugno per Bollati Boringhieri.

Katie Williams ha uno stile asciutto, crudo e realistico, inquietante e spesso davvero divertente.

Pur appartenendo il romanzo in qualche misura al genere della distopia (è ambientato in un futuro non sappiamo quanto prossimo), gli stilemi già indagati da giganti della letteratura come Margaret Atwood ritornano tutti, e fanno male. Il corpo come mezzo, il corpo come funzione, il corpo da mantenere integro perché utile.

E intanto le conseguenze mal gestite di una evidente depressione post partum, la ricerca di un’individualità, quella femminile, sempre più svuotata dai ruoli che la società le assegna, l’essere comunque performanti, la solitudine che non è più solo una condizione di vita, ma un luogo, e il corpo la sua geografia.

L’impossibilità di fermarsi a riflettere che qualunque pensiero nasca dopo il terremoto dell’aver messo al mondo un altro essere umano, non è un pensiero sbagliato. È solo il frutto di un sottile equilibrio tra l’amore, il terrore, e il sentirsi in dovere di dare la propria vita per gli altri, quando vorresti solo avere indietro la tua.

Perché forse, ci suggerisce l’autrice, ogni volta che lasciamo qualcosa, qualcuno, senza voltarci indietro, stiamo solo lasciando andare una vecchia immagine sbiadita di noi stesse che non ci piaceva più.

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Fonte: www.illibraio.it