Dischi volanti: breve storia degli avvistamenti e delle cospirazioni (a 70 anni dal primo “ufo”)

di Redazione Il Libraio | 23.06.2017

A 70 anni dal primo avvistamento U.F.O. da parte di Kenneth Arnold, nello stato di Washington, su ilLibraio.it un capitolo dal saggio "Alieni", a cura di Jim Al-Khalili


ALIENI, C’È QUACUNO LÀ FUORI?
A cura di Jim Al-Khalili
Per la curatela © 2016 Jim Al-Khalili
© Dallas Campbell
© 2017 Bollati Boringhieri editore, Torino
Traduzione di Giuliana Olivero

CAPITOLO 3

Dischi volanti: una breve storia degli avvistamenti e delle cospirazioni

Dallas Campbell

Siete usciti a passeggio con il cane. È pomeriggio inoltrato e sta facendosi buio. Vedete brillare una luce in cielo. Si muove? Vi pare di sì. Cercate di immaginare cosa potrebbe essere, a cominciare dalle cose più probabili: luci di atterraggio di un aereo? Venere? Un palloncino lucido che riflette la luce? Il bagliore di un satellite Iridium? Potrebbero semplicemente essere mosche volanti nell’occhio? Siete vicini a una base militare. Forse è uno strano velivolo o uno di quei droni di cui oggi si parla in continuazione.

Di colpo vi viene in mente. È ovvio! Dev’essere un’astronave aliena di ricognizione proveniente dal sistema stellare Zeta Reticuli, pilotata da tre Grigi con la tacita approvazione del gruppo segreto Majestic 12 costituito per ordine del governo americano. È solo questione di istanti prima che vi rapiscano, dopodiché percepirete una sensazione di paralisi, soffocamento, disorientamento e dolore nella zona genitale. Non vi resterà alcun ricordo dell’evento se non in ipnosi regressiva, e allora scoprirete un piccolo impianto metallico conficcato nella nuca. Devono essere per forza loro. Il vostro cane abbaia in segno di approvazione.

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Faccio un po’ lo spiritoso. Ma solo un po’. Il cervello umano ha questo potere, e sconfortante è il compito dell’investigatore di ufo che cerca di districare il nodo gordiano di fatti, fantasie, false convinzioni ed errori che costituiscono le migliaia di testimonianze sugli ufo in tutto il mondo. Che vi si creda, che si sia scettici, o che vi si voglia credere, è facile (e divertente) immergersi nella cultura ufo, in parte perché l’idea di fondo dei vicini di casa che decidono di farsi vivi suona abbastanza ragionevole. Dopotutto, il primo incontro fra civiltà umane (terrestri) è un tema ricorrente e affascinante della storia, e sappiamo che lo spazio è abbastanza grande da poter verosimilmente contenere altri esseri intelligenti. Certo, i pedanti sottolineeranno che la «U» di ufo sta per unidentified, non identificato, e non per alieno, ma per tutti gli altri la sigla ufo è indissolubilmente legata all’ipotesi extraterrestre (iet): cioè che la migliore spiegazione per gli oggetti volanti non identificati sia la presenza di alieni. Come avviene nel caso di altre spiegazioni sovrannaturali, non è necessario credere per provare una strisciante inquietudine quando si sente raccontare una storia di fantasmi in una buia sera d’inverno in una casa vecchia e scricchiolante. Nel suo libro The Flying Saucers Are Real («I dischi volanti sono reali»), il giornalista americano Donald Keyhoe ha indagato l’ossessione dei tardi anni quaranta per i dischi volanti ed è fermamente giunto alla conclusione che la Terra è davvero osservata e visitata da civiltà aliene. Però l’ufologia (lo studio di tali fenomeni) è la definizione per antonomasia di «scienza non esatta». È quella perenne elusività combinata a un vago alito di plausibilità, unita a un pizzico di paranoia, ad alimentare simili idee e a renderle attraenti per tante persone. Il diniego ufficiale da parte dei governi o le manifestazioni di incredulità degli scettici non sono altro che ulteriori prove di una copertura e di un voler essere ciechi di fronte alla verità. Come scrisse Jonathan Swift: «Il ragionare non farà mai correggere a un uomo un’opinione sbagliata che non ha acquisito ragionando».[1]

Se gli ufo potrebbero in effetti non essere mai sbarcati sulla Terra, nella nostra immaginazione sono ormai degli stereotipi, dal prato della Casa Bianca in Mars Attacks! all’extraterrestre del tipo «Grigio», ispirato a Roswell, con i suoi grandi occhi a forma di mandorla, oggi così famoso da meritare persino un emoticon tutto suo.

Quali furono dunque gli eventi che diedero vita a queste immagini così «invadenti»? Voglio ricordarvi cinque delle più famose storie di ufo che hanno traghettato i dischi volanti da una sottocultura marginale al moderno folklore mainstream. Non offro possibili spiegazioni né commenti sulla loro validità, ma mi limito a presentarvele allo stato grezzo, come sono state riferite. Dopotutto, da qualche parte potrebbe esserci la verità: ma la vogliamo davvero trovare? È il mistero che ci intriga. Ragione per cui, dovunque vi collochiate sullo spettro fede/scetticismo, dimenticate tutto per qualche minuto. Potrete tornare alla scienza quando volete. Questa è la vostra guida tascabile alle storie di dischi volanti che hanno cambiato il mondo.

L’avvistamento di Kenneth Arnold

«Disco volante supersonico avvistato da pilota dell’Idaho»[2]

Pensate a un disco volante. L’immagine che vi si forma in mente è nata un martedì pomeriggio un minuto prima delle 3, in una giornata serenissima, il 24 giugno 1947. L’uomo d’affari e aviatore amatoriale dell’Idaho Kenneth Arnold stava pilotando il suo CallAir, un velivolo leggero, da Chehalis a Yakima, nello Stato di Washington, sorvolando il Mount Rainier National Park, una distanza di poco più di centocinquanta chilometri. Lungo il percorso fece una deviazione per cercare di individuare i resti di un C-46, un velivolo da trasporto della marina andato disperso sul Mount Rainier, per il quale c’era una ricompensa di 5000 dollari. Arnold non riuscì a trovare i rottami dell’aereo precipitato, ma poco dopo vide qualcosa che avrebbe segnato per sempre la sua vita: una serie di luci intermittenti come se stessero riflettendo i raggi del Sole sul proprio aereo. L’unico altro velivolo che scorse fu un DC-4 a una ventina di chilometri dietro di lui. Poco dopo individuò la causa delle luci: «una catena di nove strani oggetti volanti». Dopo aver escluso che fossero oche, suppose che dovessero essere aerei jet di qualche tipo, ma rimase molto frustrato dal fatto di non riuscire a identificarli. Nel suo rapporto ai servizi segreti dell’Aeronautica militare li descrisse così come li aveva visti: oche volanti lungo «una linea simile a una catena». Ne calcolò le dimensioni usando come paragone il DC-4 e uno strumento che aveva in tasca, e la velocità prendendo il tempo loro occorso a percorrere la distanza tra il Mount Rainier e il Mount Adams. Risultato: più di 1900 chilometri all’ora. Mai sentito niente del genere all’epoca. Arnold atterrò a Yakima, dove raccontò a un amico il suo strano avvistamento, prima di partire per Pendleton, dove discusse di ciò che aveva visto con altri piloti che suggerirono possibili cause. Missili guidati? Velivoli sperimentali?

La stampa si gettò voracemente sulla storia. Il 26 giugno l’«East Oregonian» citò la descrizione di Arnold degli oggetti in tutta una serie di modi diversi: «piatti come una teglia», «leggermente a forma di pipistrello», «simili alla coda di un aquilone cinese» e, più celebre di tutti, «dischi volanti» e «a forma di piattino».[3] Le origini stesse del termine «flying saucer»[4] divennero motivo di disputa, che Arnold cercò di chiarire in un’intervista radiofonica con Edward R. Murrow tre anni dopo:[5] Questi oggetti svolazzavano più o meno come se fossero, be’, direi, barche su acque molto agitate oppure su un qualche tipo d’aria, in maniera irregolare, e quando ho descritto il modo in cui volavano, ho detto che volavano come quando si prende un piattino e lo si lancia sull’acqua. La maggior parte dei giornali ha frainteso e ha anche citato male le mie parole. Hanno detto che avrei detto che assomigliavano a dei piattini; invece avevo detto che volavano come dei piattini. Scorrettamente citata o meno, l’immagine popolare del «piattino volante» era ormai consolidata. Interessante notare che, nelle sue prime interviste, Arnold non menziona mai l’ipotesi extraterrestre. Ma con Murrow dice: Più o meno mi sono fatto la mia opinione [sugli oggetti volanti]. Ovviamente, dato che sono nato in America, se non sono prodotti della nostra scienza né della nostra Aeronautica militare, sono incline a credere che siano di origine extraterrestre.  

[1] Letter to a Young Clergyman, 1720.

[2] «Chicago Sun», 26 giugno 1947. Fonte: Wikipedia.

[3] Intervista con Kenneth Arnold, «East Oregonian», 26 giugno 1947. Fonte: Project1947.com.

[4] In inglese i dischi volanti vengono chiamati soprattutto flying saucers, «piattini volanti» (oltre che flying discs). [N.d.T.]

[5] Fonte: http://www.theufochronicles.com/2013/04/edward-r-murrowinterviews-kenneth.html e http://www.project1947.com/fig/kamurrow.htm.

Fonte: www.illibraio.it